Croccante fuori e morbido dentro, il fritto piace a tutti purché gustato caldissimo.

Dallo gnocco fritto al cuoppo, dalle olive all’ascolana alla pizza fritta napoletana, infinite le ricette casalinghe raccolte nel libro delle nonne e custodite da generazioni.

La frittura è una tecnica di cottura radicata nella tradizione gastronomica italiana che coniuga i gusti di tutti, dal Nord al Sud. Gli ingredienti possono cambiare da regione a regione, ma tutti concordano su un’unica regola: il fritto deve avere un involucro croccante e dorato e deve essere asciutto e leggero.

Poche le regole di base per una frittura a regola d’arte, la principale è il ricambio regolare dell’olio. Ogni quanto svuotare i cestelli delle friggitrici?

Storie di cibo e frittura

Immancabile sulle tavole italiane, la si sente sfrigolare nelle padelle a Natale, Pasqua e Carnevale.

Tra le tecniche di cottura, la frittura è la più recente, diffusasi in Europa in seguito alle invasioni arabe.

I popoli nomadi del Maghreb erano soliti cuocere verdure e carni in grassi fumanti estratti dalla coda della pecora. Tecnica di cottura che facilitava la conservazione dei cibi, mantenendone inalterati i sapori, principale esigenza per le comunità erranti.

L’ars-frictoria si è poi sviluppata in tutto il Mediterraneo, consolidandosi nel Medioevo con la cucina di strada. Botteghe e bancarelle ambulanti friggevano le carni in grassi animali, burro e strutto, e per il pesce si iniziava ad usare l’olio d’oliva. Già in quegli anni si selezionavano i grassi ragionando sul piano del gusto e dell’appetibilità.

La chimica dei grassi

Friggere è un’arte e per una buona riuscita del fritto è  importante la qualità dell’olio, la temperatura e il tempo di cottura.

Gli oli commestibili maggiormente usati  nella ristorazione e nelle cucine domestiche sono quelli di girasole, soia, mais e arachidi.

Quale è preferibile scegliere? Considerando che la temperatura di frittura deve essere compresa tra i 165° e 185°, è importante scegliere oli con punto di fumo più elevato della temperatura di frittura affinché non si degradino durante la cottura.

Il punto di fumo è la temperatura in cui inizia ad ossidarsi l’olio a seguito della separazione della glicerina dagli acidi grassi.

L’ossidazione è la reazione più pericolosa attivata dall’innalzamento termico,  perché causa la produzione dell’acroleina, sostanza altamente dannosa per le mucose gastriche ed epato-tossica anche a basse concentrazioni.

Tuttavia le reazioni di degradazione sono molteplici. A temperature eccessivamente elevate e ad uso prolungato si verificano anche la polimerizzazione e l’idrolisi, reazioni che concorrono nell’alterare l’odore dell’olio, lo scuriscono e lo rendono più viscoso. Tendono inoltre a formare schiuma e fumo.

Il tipo di alimento trattato è uno dei fattori che determina una maggiore incidenza di una modificazione chimico-fisica piuttosto che di un’altra.

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Il punto di fumo degli oli

Nei bagni di frittura alcuni oli vengono usati impropriamente.

Le scelte sono spesso condizionate da logiche puramente economiche, gli operatori puntano al risparmio sui costi sottovalutando la chimica dei grassi.

Ecco un confronto tra le performance dei diversi oli commestibili durante il processo di frittura:

  • l’olio di palma ha un punto di fumo decisamente alto, si mantiene inalterato fino ai 240°;
  • l’olio di arachide ha un punto di fumo di 210°, è idoneo sia per le fritture superficiali che per i bagni di frittura e non determina alterazioni del gusto;
  • gli oli di soia: 190°, sufficienti per friggere senza rischiare la decomposizione della materia grassa, tuttavia tendono ad irrancidire;
  • negli oli di semi (girasole, mais) il punto di fumo si abbassa invece a 130/160° rendendoli inadatti alla frittura se non raffinati;

I valori possono infatti variare fino a 30° a seconda del livello di raffinazione dell’olio e dal suo stato di conservazione.

Classifica dei grassi più adatti alla frittura

A temperature elevate, gli oli alimentari subiscono un processo di degradazione che porta alla formazione di sostanze nocive alla salute. Lo stesso accade in caso di utilizzo prolungato, per questo è necessario che l’olio di frittura sia cambiato regolarmente, soprattutto se impiegato a fini ristorativi.

Gli oli di soia e mais, ricchi di grassi polinsaturi, si degradano più rapidamente dell’olio di girasole, di arachidi e d’oliva, ricchi in prevalenza di grassi monoinsaturi che conferiscono loro grande stabilità ossidativa.

L’olio di arachidi contiene solitamente il 35% di acidi grassi polinsaturi, seguito da quello di girasole che ne contiene il 55%.

Ma è senz’altro l’olio di oliva il migliore per friggere: oltre al basso contenuto di acidi grassi, si contraddistingue per l’elevata quantità di antiossidanti che lo proteggono alle alte temperature, preservandone le proprietà organolettiche.

L’ARNAAssociazione Ricercatori Nutrizione Alimenti chiarisce infatti che è possibile riutilizzare l’olio d’oliva per 2-3 fritture senza rischiare concentrazioni pericolose di acroleina.

Tuttavia è il meno utilizzato nelle cucine industriali per ragioni prettamente economiche.

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Oli di frittura, linee guida ministeriali

E’ responsabilità degli operatori del settore alimentare e ristorativo preservare le caratteristiche organolettiche degli alimenti fritti.

Norme generali a presidio della sicurezza alimentare sono previste nella Circolare n. 1 dell’11 gennaio 1991 “Oli e grassi impiegati per friggere alimenti”, emessa dal Ministero della Sanità.

Viene così disciplinata a livello legislativo la procedura di frittura, per controllare e mitigare i rischi sulla sicurezza alimentare attraverso 8 semplici regole:

  1. utilizzo di oli o grassi, vegetali e animali, idonei al trattamento di frittura e resistenti al calore;
  2. preparazione adeguata degli alimenti da friggere, evitando se possibile la presenza di acqua mediante accurata asciugatura. Sono da evitare anche sali e spezie che accelerano l’alterazione degli oli e dei grassi. Dovrebbero essere aggiunti preferibilmente dopo la frittura;
  3. non superare i 180°, è consigliato pertanto un controllo preciso del bagno d’olio con termostato;
  4. eliminazione mediante scolatura dell’olio assorbito in eccesso dall’alimento;
  5. sostituzione frequente dell’olio, accertandosi che non sia imbrunito e viscoso;
  6. filtrazione dell’olio se si intende riutilizzarlo, per poter eliminare eventuali residui di frittura;
  7. divieto dellaricolmatura”, aggiunta di olio fresco all’olio usato;
  8. protezione degli oli e dei grassi dall’esposizione al sole e alla luce.

Lo smaltimento degli oli di frittura

Per preservare le qualità degli alimenti fritti è importante un uso coscienzioso degli oli alimentari e il ricambio frequente. Come fate a capire quando è momento di cambiare l’olio?

La necessità di sostituzione può essere valutata con controllo visivo delle alterazioni: colore dell’olio, presenza di residui schiumosi e/o fumo. Solitamente dopo due o tre  utilizzi al massimo è necessario smaltirlo.

E’ preferibile tuttavia provvedere a cambiare e smaltire l’olio ad ogni frittura.

E’ per questo importante affidarsi ad aziende specializzate nel recupero degli oli vegetali esausti, con servizio di ritiro rapido e frequente.

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